giovedì 5 dicembre 2013

#seistagionieunfilm - The Americans


Questo giovedì facciamo una cosa diversa. Non vi propongo una serie “fatta e finita”, a volte conosciuta, a volte sconosciuta ai più… Questo giovedì vi propongo una serie nuova. Nuova anche per me. Ma da quel poco che ho visto, mi affascina, mi intriga e mi invoglia a vedere le puntate e (speriamo) le stagioni successive. In America la prima stagione è finita poco prima della primavera. In Italia sta andano in onda adesso. Ora. In questo preciso istante. Correte a vederla!!! Siete patriottici? Poco male, tanto bene, a seconda dei vostri valori e criteri… [...]


Oggi, Ron Mexico consiglia: THE AMERIANS
La prima cosa che mi ha colpito è stato il titolo. L’iconografia del titolo.
Una bella falce e martello nella scritta, sulla scritta, dei loro storici nemici giurati. I grillini? No, gli Americani.

"no, Doctor Kram, non i Bulgari..."

La seconda cosa è che l’episodio pilota dura solo 70 minuti…. Che è una manna per gli amanti delle serie. Solitamente il pilota dura 45 minuti se va bene. Tutte le altre puntate infatti durano 45 minuti. The Americans rimette in campo un tema scomodo come la vita americana dei cospiratori contro gli Stati Uniti attraverso un'avvincente storia di spionaggio familiare ambientata in era di riscaldamento della guerra fredda, sotto la presidenza reganiana. - Anche se sembra inventato ma è vero - la serie è stata creata dall'ex agente della CIA, Joseph Weisberg e racconta la vita di due coniugi, con relativa prole, che vivono a Washington, ma sono due agenti del KGB che si mimetizzano tra i nemici, gli Americani appunto.


Partiamo dal principio: 1981 Elizabeth e Philip Jennings (Keri Russell e Matthew Rhys) sono due agenti russi sotto copertura che da 20 anni fingono di essere una famiglia americana per svolgere le loro funzioni di spionaggio. Entrambi appartengono al Direttorato S del KGB e vivono da quasi vent’anni nei sobborghi di Washington D.C.; da lì operano, sotto mentite spoglie, con due figli quasi grandi, e buone abitudini da mantenere - come quella di portare brownies appena fatti ai nuovi vicini di casa -, passando dal proprio giardino. Philip ama realmente Elizabeth e cova spesso il pensiero di costituirsi ai servizi segreti americani per regolarizzare la sua esperienza. Lei invece è più fredda specie riguardo all'idea di abbandonare il KGB. Ignari di tutto ovviamente i figli che sono la loro copertura. La missione da cui parte il pilota è il rapimento di Timoshev, ex-colonnello del KGB diventato, grazie al Dio dollaro, collaborazionista con gli americani. L'operazione va in porto per metà, visto che i due, in collaborazione con un terzo agente prendono in consegna il russo ma mancano l’appuntamento per la sua consegna. Costretti a tenerlo nel bagagliaio dell’auto in garage passeranno tutto il tempo del lungo pilota a decidere cosa fare di lui. Sulla decisione peserà la vicenda personale di Elizabeth, che durante la sua iniziazione aveva subito uno stupro perpetuato proprio da Timoshev. Intanto si fa sentire il pugno di ferro del neo-eletto presidente Reagan riguardo alla questione sovietica e all’attività contro-spionistica come priorità assoluta. Ecco che compare l’agente Stan Beeman (Noah Emmerich), assunto nel reparto controspionaggio per il suo istinto fuori dal comune sviluppato negli anni di lavoro sotto copertura, e appena trasferitosi con la famiglia proprio di fronte a casa Jennings. Ecco, un pilota funziona quando le cose teoricamente più scontate e poco credibili come queste, girano bene. Un pilota teso e avvincente, perfettamente interpretato dai due protagonisti Keri Russell e Matthew Rhys, da cui emerge il grande potenziale della serie. Spionaggio, paranoia ai tempi della guerra fredda e il sempre più attuale tema della minaccia anti-americana sono i punti di forza di The Americans. Mi sbilancio: Pilot ottimo, che sviluppa egregiamente un’idea promettente, ovvero una spy story d’epoca con due protagonisti che incarnano il principale terrore (passato e attuale) degli Stati Uniti, l’irriconoscibilità del nemico, la sua mimetizzazione su suolo americano.


A livello recitativo tutto il cast è degno di merito. Entrambi i protagonisti sono perfettamente in parte anche nelle scene di scontro fisico, entrambi capaci di passare in un battito di ciglia dal più amorevole dei sorrisi a una maschera di volontà glaciale, dall’autentica preoccupazione alla freddezza del killer. Il sentimento della paranoia e dell’ansia saranno gli stabili padroni di casa Jennings. Le differenze caratteriali dei due protagonisti sono esplicitate fin dai flashback, attentamente dosati nel corso della narrazione. La continuità tra le due metà della vita di Philip ed Elizabeth è sottolineata da un preciso utilizzo di soluzioni visive e linguistiche. Le scelte di montaggio e di costruzione dell’immagine sanciscono l’estensione del lavoro nell’intimità domestica, con un’attenzione particolare all’assoluta credibilità delle scene di vita familiare: dal garage in cui è segregato l’ostaggio, alla colazione con i figli; dal dialogo di rito sulla giornata scolastica, a quello sull’opportunità o meno di uccidere; da un commento scabroso di un pervertito alla figlia tredicenne, al suo esemplare castigo.


Da sottolineare l’amore della coppia unico appiglio di umanità cui aggrapparsi e cui conferire un’autenticità necessaria, in un mondo di bugie, in cui non si è effettivamente Americani, ma nemmeno Russi – dopo tutto quel tempo passato a vivere in terra nemica, sotto copertura –. Ne Capitalismo, ne Comunismo. Stranieri in terra straniera. Cosa scegliamo di essere allora?


Lo stesso amore “imposto” (probabilmente dai piani alti russi) ha generato due figli: la copertura più solida e naturale. Paige e Harry sono bambini anche sopportabili a livello visivo, per il telespettatore. Solitamente i bambini nei telefilm diventano odiosi e gli si augurano morti violente e dolorose. Vedi la famigliola felice di Terranova, Karl nelle prime stagioni di The Walking Dead e l’elenco potrebbe continuare ma non voglio finire in galera quindi stop.


Tornando alla serie…
E’ stato fatto di tutto, riuscendoci, per mantenere una ricostruzione d’epoca sobria e non invasiva: la fotografia calda, l’uso moderato di canzoni del tempo l’abbigliamento ottantesco non eccessivamente ridicolo (niente tute policromo fatte del materiale del demonio). Parrucche, congegni meccanici e trucchi sono gli attrezzi del mestiere di queste due spie. Niente software, tablet o micro-telecamere. Con The Americans non si entra subito nel vivo della storia, si introduce la storia piuttosto che raccontarla. Quindi se siete quel genere di pubblico che vuole tutto e subito, questa pilota (non la serie, badate bene) non fa per voi. Quindi lentezza del ritmo, ma che lascia spazio a un approfondimento curato nei minimi dettaglia, che inquadra bene atmosfere, obiettivi, situazioni e personaggi. I principali concetti della serie sono famiglia e patria, appartenenza e solitudine, sogni e realtà. Il tutto con la Guerra Fredda come sfondo. Dialoghi intensi e veri, no aria fritta, ovvietà, bla bla bla.


Ora vediamo cosa ne penserà il pubblico a stelle e strisce, vero giudice sul proseguo della serie. Fino a che punto gli americani accetteranno una serie in cui viene richiesto di simpatizzare per i loro nemici storici; ma forse la domanda più pertinente è se sarà effettivamente così, se gli autori si manterranno fedeli al soggetto - due spie del KGB radicatesi perfettamente nella normalità statunitense - o se a un certo punto ricorreranno a ribaltamenti di comodo. L’elemento più interessante, insieme al tema stesso e al potere d'appeal del genere spionistico (per chi lo ama ovviamente), è la potenziale longevità dei personaggi rispetto al loro background e alle future scelte. Se gli sceneggiatori sapranno muoversi bene la serie potrebbe aprirsi a vicende e situazioni di grande interesse.



VOTO:
su 5

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