sabato 24 agosto 2013

Quattro carogne a Malopasso - cassata western con due z


Bill Nelson è tornato. I suoi anziani genitori sono stati uccisi dalle quattro carogne (vedi titolo) e lui cerca vendetta. Questo il canovaccio intorno cui si muove il regista Vito Colomba e la crew degli “amici del cinema” in un film –ma che dico- una vera epopea trash western. […]


Il film è stato scoperto nientepopodimeno che dalla Gialappas, i quali lo commentavano a spezzettoni per la rubrica “lezioni di regia di Vito Colomba”. In effetti il valore di involontaria demenzialità della pellicola tocca i vertici della scala Oronzo Canà.


Già dalla sigla iniziale hai capito la terribile sofferenza che ti porteranno i sessanta minuti di visione del film. “un film tv in presa diretta di Vito Colomba”. Che era in presa diretta lo deve specificare, che, magari, oh, ti perdevi la sciccheria della presa diretta ed è giusto ricordarlo. Sequenza interminabile di attori e interpreti, oltre due minuti, ad un certo punto passa nei titoli pure l’elettricista di scena, la costumista e la segretaria. Che poi sono la stessa persona. Giuro. Dopo quasi cinque minuti di sigla la frase che più di tutte va a definire l’incompetenza nel girato: “attrezzature di ripresa con mezzi di fortuna”. Eccheccazzo, ma dovevi proprio dirmelo? Ma dai! Ti sei alzato dal divano e hai già scambiato la Cocacola con una vodka liscia e al posto dei popcorn rosicchi ossa di bue. Devi sopportare. Sei già intenzionato a spegnere ma inizia il film. Sei un filmbruttaro coi contro cazzi tu. Hai già sopportato le autopunizioni peggiori, non saranno questi sessanta minuti a scoraggiarti.




Questa la storia: Bill Nelson torna nel suo paese natale, dopo dieci anni. Era così famoso che nessuno si ricorda di lui. Ma manco la madre. Principalmente perché è morta. Così come il padre: ammazzati dal signorotto mafioso malavitoso locale e dalle sue quattro carogne. Momento lacrime poi la lunga vendetta. Ti aspetti il duello uno contro quattro, alla Sergio Leone, ma poi le quattro carogne, capirai (a fatica) nel corso del film sono una metafora. Infatti ci sono cattivi che spuntano a ripetizione, peggio degli affiliati alla Camorra de “La Croce dalle Sette Pietre” (promemoria: parlare dell’Uomo Lupo contro la Camorra, assolutamente!). La battaglia contro l’empio Paker, il capo delle carogne - che non sono quattro, ma intitolare il film “un certo numero ragguardevole, ma non troppe che poi finiamo i panini, di carogne a Malopasso” sembrava brutto – è una battaglia solitaria: nessuno del paese, infatti, ha il coraggio di affrontare l’empio. L’unico che dà un po’ di speranza a Bill è lo sceriffo Sam O Hara. O Hara? “cambio la vodka con una cassa di kerosene, grazie!”



Cosa succede poi? Piano sequenza interminabili, scambi di battute in un italiano approssimativo, montaggi alla cazzodicane, sonori appiccicati lì da altri film e non corrispondenti alle scene, attori di un amatorialità disarmante, la peggior scazzottata fuori sincrono e al rallentatore di sempre che in confronto Kirck che affronta il malvagio uomo-lucertola è premio Oscar, premio Nobel e premium play.



Sei stanco. Disorientato e annoiato. Non sai più dove ti trovi. Sono passati sessanta minuti o sessanta giorni? Dove diavolo siamo? Quando diavolo siamo? E arrivi alla scena finale. Non posso raccontarla perché è da vedere. Un momento anticartico. Una scelta coraggiosa del regista che solo un vero mito del cinema ha avuto la forza di prendere. Non esiste più il Vito Colomba dei primi sessanta minuti, ma abbiamo un nuovo signor Giancarlo dei medio metraggi amatoriali. Nel finale Vito Colomba lascia noi uomini e porta il film tra gli immortali.

Voto: 
centordici stelle e mezzo della Guida Michelin.

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